Etichettato: romanzo

Il maestro e l’infanta. Dal 4 marzo in libreria

cover romanzo

La critica ha scritto:

«Un romanzo bellissimo, va detto subito, nel quale l’affresco storico tracciato con mano sapiente e sottile fa da sfondo a una passione, quella musicale, davvero irrefrenabile»
Giorgio Montefoschi, Il Corriere della Sera

«Una scrittura densa, garbata, pensata»
Marilù Oliva, Huffington Post

«Riva compone il libro con una precisione quasi geometrica»
Flaminia Marinaro, L’Osservatore Romano

«I personaggi sono veri e propri compagni di viaggio per il lettore».
Giacomo Giossi, LEco di Bergamo

«Un romanzo sulle affinità elettive. Due personaggi meravigliosi».
Vittorio Macioce, Il Giornale

«La scrittura di Riva traduce un enigma».
Daria Galateria, Il Venerdì di Repubblica

«Dottissima immaginazione».
Massimo Onofri, L’Avvenire

«Un romanzo intrigante». 
Felice Piemontese, Il Mattino

«Il romanzo disegna come in un teatro i fondali e le scene di quella che pare una opera in musica».
Stella Cervasio, La Repubblica

«Chiudendo il libro ci viene voglia di ascoltare le bellissime sonate di Scarlatti, che lui chiamava esercizi, spiegando all’infanta che la musica era dentro di lei. Dentro di noi».
Vanja Luksic, Internazionale

«Un esercizio che solo un narratore con vaste esperienze sia musicali sia letterarie poteva farci “ascoltare“»
Sandra Petrignani, L’immaginazione

«Il romanzo di Riva si distingue per la penetrante finezza psicologica con cui racconta questa vicenda, intrecciando con naturalezza e sapienza la piccola e la grande storia».
Gino Ruozzi, Il Sole 24 Ore

«Romanzare. Fiabeggiare. Romanzare la musica e i musicisti. La fiaba con l’ultimo volo dei gabbiani. Genialità nella genialità. Bastano le prime due righe a far capire se il racconto cammina nel ritmo che avvolge e non semina sbavature fino all’ultima pagina».
Bepi De Marzi, Il Giornale di Vicenza

«Intensità malinconica e ritmo calibrato».
Giovanna Bragadini, La Gazzetta di Parma

«Il ricco e felice affresco di un’epoca animato da un gran numero di personaggi in carne e ossa, non comparse contraddistinte soltanto da nome e cognome. Hanno sentimenti questi personaggi, parlano, ragionano, discutono: al narratore è per fortuna permesso quel che è proibito al biografo».
Isabella Bossi Fedrigotti, Il Corriere della Sera

«La scrittura di Riva, attenta e misurata, avvolge il lettore dalla prima all’ultima pagina. Il maestro e l’infanta è un romanzo prezioso per questi tempi affrettati, una goccia di splendore in un oceano calpestato dal rumore».
Luigi Caputo, Note Verticali.it

«Perché l’altro scandalo di questo Scarlatti felice risiede nell’aver trovato nella sua regale allieva non una padrona bensì un’interlocutrice all’altezza, ragazza au pair in casa del genio»
Marcello Sacco, Il Pickwick.it

«C’è un costante contrappunto della musica che sembra fare da collante alle vite, ai sentimenti, ai tradimenti, alle malinconie, agli scontri. La musica diventa il filtro attraverso cui guardare».
Helmut Failoni, La Lettura – Corriere della Sera

«Un romanzo che sceglie la delicatezza, Il maestro e l’infanta; un romanzo costruito sulle sfumature, su quel rapporto tra arte, vita e umanità che è poi la linfa vitale della creazione».
Giulia Bocchio, Poetarumsilva.com

«Lode a Riva per aver fatto conoscere la storia del compositore Domenico Scarlatti attraverso una prosa fluida e un taglio originale».
Chiara Giacobelli, AffariItaliani.it

«Riva lo racconta con tocco unico, eccentrico per stile nella nostra letteratura, un tocco che sgorga dalle profondità musicali in cui è cresciuto e che lo rende capace di una scrittura/pittura impressionista in cui i cieli di Lisbona, la calura di Siviglia, i vicoli di Granada, le sale reali dei palazzi di Madrid diventano atmosfera in cui ci sembra di viaggiare, assolutamente fuori dal tempo.»
Matteo Nucci, Uominietori.it

«Un romanzo delicato, il racconto di un’epoca attraverso una storia quasi privata. Una scrittura colta e misurata. Godibilissimo!».
Nicoletta Spolini, Vogue.it

«Quel che conta sono sempre i personaggi, e il musicista vestito di nero e sciatto, remoto come quel suo sorriso che pare una forma di tristezza, e la principessa non bella e neppure graziosa, dal passo cadenzato “in tre battute, come un valzer”, aspettano il lettore a ogni pagina».
Tiziano Gianotti, D-La Repubblica

«La scrittura eccellente di Alberto Riva, ricercata ma non leziosa, e l’ineccepibile narratore onnisciente accompagnano il lettore attraverso un’opera suggestiva, con adagi e allegri, a tratti anche elegantemente esotica, comunque “d’altri tempi”, nella più alta accezione del termine».
Giulia Barollo, Mangialibri.it

«A legarli, in questo affresco anche la vocazione alla solitudine, il desiderio di libertà, il dolore dello sradicamento, la forza del dubbio: è forse soprattutto quest’ultimo il tratto grazie al quale Riva riesce a dare spessore a quelle che nei racconti degli storici sono rimaste semplici silhouettes».
Anna Longoni, L’immaginazione

«Qui si va oltre la musica per incontrare lo sguardo di una donna».
Livio Partiti, Ilpostodelleparole.it

«Il libro è “travestito” da romanzo storico, ambientato nel Settecento, e, dunque non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. Piuttosto bisogna lasciarsi rapire dalle sliding doors della storia, dal senso di nostalgia da cui è pervasa, dalle rivoluzioni che racconta, dal virtuoso intreccio di letteratura e musica, campi d’attrazione da tempo per Alberto Riva»
Giosuè Colomba, Lucialibri.it


Un libro Neri Pozza

https://neripozza.it/libri/il-maestro-e-linfanta

Mankell prima di Wallander: la sottile arte di raccontare una vita invisibile

Marsilio pubblica L’uomo della dinamite, romanzo con cui nel 1973 esordì lo svedese Henning Mankell. Aveva allora venticinque anni, veniva dal teatro e aveva già cominciato a viaggiare il mondo. Il successo dei polizieschi con il Commissario Wallander verrà molti anni dopo, all’inizio degli anni Novanta, ma in questo suo debutto c’è già tutta l’intensità espressiva e l’urgenza di raccontare le contraddizioni del suo tempo e della società svedese. Un ritratto dello scrittore scomparso nel 2015 a sessantasette anni. 
Su “Il Venerdì di Repubblica”

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Susan Sontag sotto il vulcano, ovvero il romanzo come travestimento

Anche in un romanzo storico fluviale e ricco come L’amante del vulcano, che torna in libreria per l’editore Nottetempo, l’americana Susan Sontag non abbandonava del tutto la sua passione saggistica. Di fatto, il romanzo uscito nel 1992 rientra nel genere del romanzo-saggio, che aveva visto in quel periodo un esempio di grande successo ne L’immortalità del ceco Milan Kundera. Qui la Sontag usa una vicenda ambientata nel finale del Settecento, tra Napoli e Inghilterra, per indagare la figura di Sir William Hamilton, ambasciatore, collezionista e archeologo, ma soprattutto le sue due mogli, scrivendo così un saggio sulla condizione femminile, sul potere, sul ruolo sociale e storico della cultura.
Ne parlo su “Il Venerdì di Repubblica”

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Leggere Piero Chiara, lo sguardo sardonico che non invecchia mai

Escono nuove ristampe negli Oscar Mondadori di alcuni celebri romanzi di Piero Chiara, ma anche meno celebri, come Saluti notturni dal passo della Cisa, uno dei più belli in assoluto, ma anche il memoir Con la faccia per terra, nel quale lo scrittore di Luino ripercorreva la figura del padre e i viaggi che insieme intraprendevano insieme verso la Sicilia, terra d’origine del genitore.
Ne parlo su “Il Venerdì di Repubblica”

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Carlo Castellaneta: pagine di un cronista tra Storia e sentimenti

Con il romanzo Notti e nebbie, uscito nel 1975, l’editore Interlinea comincia la ripubblicazione di alcuni tra i più importanti titoli di Carlo Castellaneta (1930-2013), scrittore milanese che si divideva tra impegno e romanzi più “sentimentali”, come emerge da questa chiacchierata con alcune delle persone che lo hanno conosciuto.
Ne parlo su “Il Venerdì di Repubblica”.

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Maurensig: «In un romanzo deve esserci sempre una parte oscura».

Paolo Maurensig, autore dell’indimenticabile La variante di Luneburg, torna con un nuovo romanzo, Il diavolo nel cassetto (Einaudi). Ironica parabola sul successo e sull’ambiente letterario. Ho intervistato lo scrittore per “Il Venerdì di Repubblica” nella sua casa di Udine.

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Tutto quello che gli uomini non dicono

steffeUna sera di dicembre, nel cuore di Milano. Manca poco a Natale. Il corpo di un celebre e anziano regista è steso nella neve. Morto. È piombato giù dalla finestra di una clinica. L’uomo che era andato a visitarlo, lo scrittore Antonio Lopez, amico da tre decadi, viene fermato e interrogato dalla polizia. Cosa è successo negli ultimi istanti di vita di Santiago Conte? Cosa si sono detti i due amici? Perché Lopez è tanto reticente? Chi è Clara, la donna che continua a inviargli sms e a chiedergli: «Come è andata, tutto ok?»

Sembra fin troppo chiaro che l’ultimo romanzo di Antonio Steffenoni, Il silenzio sulle donne, che esce nella nuova collana dell’editore Barion, è ispirato al suicidio di Mario Monicelli, avvenuto a Roma il 29 novembre 2010.

Milanese di origine ispano/cubana, autore di numerosi romanzi (il primo, Una sola paura, uscì da Rizzoli nel 76), Steffenoni torna oggi con un breve, fulminante noir intriso di struggimento, e che tiene incollati fino all’ultima pagina.
Se, come è stato detto più volte, ogni scrittore passa la sua vita, in fondo, a riscrivere lo stesso libro, questo è ancora più vero per Steffenoni, un narratore fedele ai suoi temi fino allo spasimo: l’anima divisa tra due mondi (nel suo caso l’Italia e la Spagna), l’amicizia, il passato come “terra straniera” dove ritornare e perdersi, le donne spesso inseguite come ombre fuggevoli, e spesso perse. A un certo punto, il protagonista Lopez dice, riferendosi a suo padre e ai suoi innumerevoli ritorni in Spagna: “Andava in cerca di qualcosa che là non avrebbe mai trovato: il se stesso che era stato. E ogni volta rientrava da quei grotteschi pellegrinaggi più avvilito e più silenzioso”.  (Molte volte, mi vien di pensare, noi tutti intraprendiamo uno di questi grotteschi pellegrinaggi, con una aggravante: non ci muoviamo di un passo).

Il romanzo sarà presentato a Milano martedì 5 marzo alle 18.30 alla Feltrinelli di Piazza Piemonte.

Pubblico qui di seguito il testo intero dell’intervista con Steffenoni uscita oggi su Il Venerdì di Repubblica e che ragioni di spazio hanno parzialmente sacrificato.

Cosa l’ha colpita così tanto in quel fatto da ispirarle addirittura un romanzo?

«Apprezzavo Monicelli per la sua ironia e lo stile. E la sua fine mi è rimasta dentro a lungo. Un uomo che a 95 anni ha voluto decidere della sua vita, mettere la sua firma anche sull’ultimo atto. Ci vuole un bel coraggio, secondo me. Un coraggio che merita rispetto».

Come già in L’ultima lettera e Meglio andare lontano al centro dei suoi libri c’è l’amicizia tra uomini, amicizia che a volte travalica tutto. Dove nasce questo pallino?

«Forse perché sono metà italiano e metà spagnolo, e nel machismo ispanico l’amicizia tra uomini è un valore assoluto: il patto di fedeltà, l’impegno affettivo, i non detti…».

Anche tra il regista e lo scrittore il silenzio sembra più importante di qualsiasi parola. Conta davvero così tanto, ciò che non si dice?

«Certo, è quasi una condizione necessaria: se uno dei due amici avesse parlato chiaramente il triangolo amoroso non sarebbe mai scattato. D’altra parte, gli uomini sono incapaci di parlare d’amore tra loro, di usare la fantasia nei racconti amorosi e invece l’amicizia, anche maschile, dovrebbe essere il tentativo di conciliare le diversità».

Lei, come il suo protagonista Lopez, non ha mai lasciato la professione del pubblicitario. Una maniera di tenersi aperta una via di fuga?

«Da giovane avevo un’idea alta della letteratura e mi sono presto accorto che non potevo vivere solo con la scrittura. A trent’anni, dopo i primi due libri, il mio editore di allora mi disse: caro Steffenoni, hai scritto due libri bellissimi, ma ora facciamo qualcosa che venda, voglio un colpo di scena ogni venti pagine! Io mi sono arrabbiato e non ho più scritto per dieci anni. Finché ho capito che un po’ di sano realismo non guasta e facendo un altro lavoro potevo scrivere liberamente».

E ha funzionato?

«Direi di si. Siamo tutti fatti di tasselli diversi e la sfida è cercare di tenerli insieme con un minimo di armonia».

Il vecchio regista, ormai cieco, lascia all’amico più giovane Il Grande Gasby di Fitzgerald e un libro John Irving. Perché ha scelto questi?

«Considero Fitzgerald, Hemingway e Graham Greene i maggiori autori del Novecento. E John Irving lo sento vicino perché è uno scrittore diviso tra una vitalità straordinaria e il terrore della vita. La vita può essere pericolosissima»