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Brasile 2014, non solo calcio. Al voto per le presidenziali

Sul Venerdì di Repubblica di oggi racconto la vicenda politica di Marina Silva che, dopo aver visto bocciato dal tribunale elettorale il suo nuovo partito Rede Sustentabilidade, ha rinunciato alla corsa come candidata presidente ma, alleandosi con i socialisti, scompagina ugualmente uno scenario politico quasi immobile. Ne avevamo parlato qui nelle settimane scorse. E’ evidente però che la sua (ormai quasi probabile) scelta di non correre più in prima persona lascia campo libero alla rielezione forse già al primo turno di Dilma Rousseff. Tuttavia, da qui al prossimo ottobre, potrebbero verificarsi altri colpi di scena. Nello stesso tempo, la strategia attendista di Marina guarda lontano: fossi nei suoi avversari, cioè il Pt di Lula e Dilma, comincerei a preoccuparmi per il 2018.

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Coppie di fatto gay a un passo dal sì. E un ragionamento

E’ in corso presso la corte suprema brasiliana, l’STF (Supremo Tribunal Federal), l’analisi del riconoscimento alle coppie di fatto omosessuali degli stessi diritti che la legge riconosce già alle coppie di fatto eterosessuali. Il relatore del processo, il giudice Carlos Ayres Britto, ha concluso la prima sessione ieri sera dando parere favorevole. Il processo continuerà oggi con il voto degli altri compenenti dell’alta corte. Il faldone arriva sui tavoli della Corte Suprema a causa di due ricorsi: il primo, inoltrato dal governatore dello Stato di Rio de Janeiro, Sergio Cabral, il quale parte da una questione, diciamo così, burocratica: chiede che nello statuto dei funzionari statali non si  faccia alcuna discriminazione nel trattamento tra coppie di fatto eterosessuali e gay. Cabral afferma che la discriminazione va contro fondamentali principi costituzionali, quelli di libertà e uguaglianza e il principio della dignità dell’essere umano. Il secondo ricorso, del 2009, arriva direttamente dal procuratore generale dello Stato, e chiede il riconoscimento delle coppie di fatto gay quale entità familiare, e che i diritti delle coppie di fatto eterosessuali siano estesi a quelle dello stesso sesso. Dunque, tutte quelle questioni legate all’estensione dell’assistenza sanitaria, previdenza sociale, diritto ad assistere il partner in caso di malattia, ricovero, questioni ereditarie, etc.
Interessante è notare come la questione in  dibattimento non generi alcuna polemica nella società civile, tenendo anche conto che parlando di Brasile stiamo parlando del Paese con il maggior numero di cattolici al mondo e una forma molto intensa di religiosità, comune a tutta l’America Latina. Il Brasile, isola lusofona con caratteristiche per certi versi peculiari rispetto al resto del continente, anche nel rapporto con il divino manifesta un suo caratterere specifico. “Più in funzione della festa che del rito” mi ha detto un giorno il poeta Ferreira Gullar, concetto non facilssimo da intepretare se non quando ci si trova di fronte a un tipo di relazione, come la chiamava lui, “permissiva” con la pratica dell’esistenza. Lui lo definiva “il processo della vita, senza molto mistero e quasi senza preconcetto”.
Mi sono tornate in mente queste parole leggendo alcune bellissime pagine di Ryszard Kapuscinski contenute in Nel turbine della storia e che spiegano secondo me molto bene cosa significa il sentimento religioso in Sud America e perché, su questioni civili come quella succitata, quei paesi siano ormai molto più avanti del nostro in quanto “laboratorio sociale” dove le minoranze sono giunte pacificamente, attraverso un lento processo di evoluzione e penetrazione, ad avere più voce in capitolo nell’organismo dello Stato. Scrive Kapuscinski: “In questo continente si riscontra una collaborazione tra culture, razze e religioni. Una sorta di sincretismo  in cui il cattolicesimo si mescola alle antiche credenze. Il fatto più interessante, e del tutto eccezionale, è l’assenza di un’aggressività nazionalista. Si può attraversare in lungo e in largo l’intera America Latina senza imbattersi in una sola manifestazione di odio o di rifiuto. Potrebbe trattarsi di un buon modello per il xxi secolo”. Queste parole del grande giornalista polacco, un uomo che ha inteso la sua sua professione innanzitutto come curiosità verso l’altro, e come infinito viaggio, scoperta, mi sono a loro volta tornate in mente qualche giorno fa leggendo invece l’intervista a uno dei nostri decani del giornalsimo, il quale parlando della situazione italiana usava, in maniera dispregiativa, la parola “sudamericana”, anzi credo che usasse la parola “paraguaiana”, come sinonimo di parlamento o governo in mano a delinquenti, forse anti-democratico, e via dicendo. Ci ho visto qualcosa di molto illuminante, ancorché tragico: perché è proprio questo genere di non-aggiornamento, di schemi culturali ammuffiti e con data di scadenza pericolsamente superata, che collaborano a mantenere una società, come quella italiana, bloccata. E sono dovuti al fatto che questi decani lo sono poiché sono decadi che non usano il loro passaporto per andare a vedere che l’aeroporto di Seul è il più moderno del mondo, per esempio, o che a San Paolo si divorzia in un’ora, o a Montevideo le lesbiche si sposano, o ancora che un ex potentissimo ministro di Lula, per aver violato il decoro parlamentare, è stato cassato dalla vita politica per dieci anni. Viaggiare per credere.

Lula torna alle origini: guiderà la riforma politica e la strategia per le amministrative del 2012

Le elezioni amministrative del 2012 sono uno dei principali motivi del ritorno sulla scena politica nazionale di Luiz Inacio Lula da Silva. L’ex-presidente della Repubblica, infatti, impegnato attualmente come conferenziere negli Stati Uniti e in Europa, pur non aspirando ad alcun incarico effettivo, è stato chiamato dalla dirigenza del Partito dei Lavoratori (Pt) a coordinare le alleanze in vista del prossimo appuntamento elettorale, dal momento che il partito sia della presidente Dilma Rousseff che dell’ex-Lula è seriamente intenzionato a vincere, innanzitutto nella città di San Paolo, storicamente baluardo dell’opposizione. Già entro il prossimo ottobre, dovrebbe essere reso noto il nome del candidato petista, che correrà o da solo o come capo di una stretta alleanza. Inoltre, sul tavolo, c’è da tempo la cosiddetta “riforma politica” che dovrebbe essere affrontata dal congresso, nella quale è inclusa anche la riforma delle regole elettorali e altre importanti declinazioni della macchina politica nazionale, tra cui le regole per il finanziamento pubblico delle campagne. Secondo la Folha de S.Paulo, l’intervento di Lula è fondamentale per Dilma, libera così di proseguire il suo impegno al governo senza doversi occupare della “bassa cucina”, articolazione delle alleanze e programmi, dove il carisma e le capacità di Lula sono solide come il marmo.

Il business delle miniere: Brasile all’attacco

Cambio al vertice della multinazionale brasiliana Vale do Rio Doce, la seconda impresa estrattiva del mondo, e la prima nel settore del ferro, un colosso da 15 miliardi di euro di profitti nel 2010. Creata dal governo brasiliano nel 1942, nel 1997 la Vale è stata privatizzata. Sotto il governo Lula (2003-2010), la perdita di controllo statale su una azienda così strategica è stata poco tollerata. Già dal 2008 si sono avuti screzi tra l’ex-presidente Lula e il presidente della Vale, il super manager Roger Agnelli. Ques’ultimo, dopo dieci anni al comando, si prepara a  lasciare il posto a un altrettanto giovane executive, Murilo Ferreira, 58 anni, un passato già nell’azienda e poi incarichi in imprese di consulenza strategica e, si dice, vicino alla presidente della Repubblica Dilma Rouseff, che prima di assumere la guida del paese è stata ministra del settore, al dicastero di Minas e Energia. Il nome di Ferreira è stato indicato dagli azionisti e deve essere approvato dal consiglio di amministrazione.
La Vale è una mega impresa con un indotto di 120 mila posti di lavoro, 94 mila in Brasile, il resto nei cinque continenti. Nel 2010 ha fatto investimenti per 7 miliardi di dollari in Brasile e una cifra analoga all’estero. Estrae potassio in Argentina, Nichel in Canada, ferro in Guinea, Rame in Zambia, fosfato in Perù, eccetera eccetera. E’ presente in 30 paesi. (fonte O Globo e Folha).

San Paolo, polizia accusata di 150 omicidi

La polizia civile di San Paolo ha divulgato ieri un dossier nel quale rivela che, tra il 2006 e il 2010, la Polizia Militare della maggiore città brasiliana sarebbe responsabile almeno di 150 omicidi. Il 61% delle vittime era senza precedenti. Una cinquantina di poliziotti, secondo il dossier, fanno parte o hanno fatto parte di gruppi di sterminio. Alcuni sono già in carcere, altri ancora in servizio, altri sotto investigazione. Per capire cosa significano questi dati in concreto, lasciamo San Paolo e andiamo a Manaus, la capitale dello Stato di Amazonas, nel profondo nord brasiliano. Ieri un giudice ha chiesto l’arresto di sette poliziotti militari accusati di sparare a un ragazzino di quattordici anni disarmato che non è morto per un soffio, ma ha subito la perforazione di un polmone: il fatto risale allo scorso ottobre ma l’inchiesta è partita solo lo scorso febbraio. Si ha idea dei tentativi di depistaggio e interferenza alle indagini che devono essere stati tentati fin qui. Il caso ricorda da vicino quello di Marcia Jacinto che tempo fa avevo raccontato sul Riformista.
Non esistono indicatori economici positivi che possano cancellare una verità solida come pietra. Se il Brasile vuole davvero entrare nel novero delle grandi democrazie deve risolvere al più presto il problema della polizia. Deve togliere dalla strada, privarli delle uniformi, sottrarre il potere arbitrario a un esercito di delinquenti corporativi. Ovvio: stiamo parlando delle mele bacate, non di un tutto. Ma le mele bacate, purtroppo, sono una grossa fetta del raccolto. Deve riformare tutto il sistema. L’ex-presidente Lula non lo ha fatto, auguriamoci che lo faccia Dilma Rousseff.
(In alto, esercito in azione a Rio nella favela Rocinha, foto di Alberto Riva)

Lula morettiano: che dici, vengo?

Che l’ex-presidente Luiz Inacio Lula da Silva fosse un genio della comunicazione si sapeva, ma che riuscisse a polarizzare l’attenzione anche da assente, non era ancora successo. Ci è riuscito sabato scorso durante la visita di Barack Obama a Brasilia. La presidente Dilma Rousseff ha invitato a pranzo il presidente Usa chiamando a raccolta tutti gli ex-presidenti del Brasile disponibili sul mercato: dal tenebroso Fernando Collor al decano José Sarney, dal mite Itamar Franco al pensieroso Fernando Henrique Cardoso. E Lula? Lula ha declinato l’invito. Ma come, proprio lui? L’uomo che ha traghettato il Brasile dal passato al futuro senza passare da via? Il predecesseore di Dilma, che proprio Obama aveva consacrato definendolo That’s the guy! E si, Lula non c’era. E la sua assenza ha occupato sui giornali quasi più spazio del pranzo di Dilma, provocando un florilegio di congetture.
F. H. Cardoso, che lasciò nel 2002 il testimone a Lula, ha sobillato: sarà stato un po’ geloso. Itamar Franco, noto per il suo equilibrio, non si è voluto sbilanciare: avrà avuto un altro impegno, ha detto. La stampa, dal canto suo, ha visto nell’assenza di Lula l’intenzione di non rubare la scena a Dilma nella sua prima grande passerella internazionale. Parole sagge, ribadite da José Sarney, eterno protagonista della politica brasiliana. Lula non ha voluto oscurare Dilma, ha dichiarato l’ex-presidente. In ogni caso, sembra proprio che Lula abbia fatto suo il celebre dettato di Nanni Moretti: mi si nota di più, se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo?
(In alto, Dilma e Obama a Brasilia, foto di Lula Marques/Folha)

Luiz Inacio Dilma da Silva: cosa ci si aspetta dal Lulismo 2

Eletta con il 56% dei voti, un risultato considerato eccellente dalla cupola di governo, Dilma Rousseff, 62 anni, è da oggi la nuova presidente eletta del Brasile, e assumirà l’incarico il prossimo primo di gennaio. Governerà per quattro anni. Senza nulla togliere alle sue qualità personali, la sua elezione è il più recente successo del presidente Luiz Inacio Lula da Silva, il quale, in completa autonomia rispetto al partito dei lavoratori (Pt) – c’è chi dice in maniera quasi autoritaria – l’ha scelta come sua “erede” e l’ha portata di peso alla vittoria, violando il protocollo presidenziale e buttandosi anima e corpo nella campagna elettorale. Josè Serra, lo sconfitto (per la seconda o terza volta) non ha dovuto battagliare contro un avversario, bensì contro due, una nuova entità duble-face che ci verrebbe di battezzare Dilma da Silva. Oggi per ersempio i giornali brasiliani, come la Folha de S.Paulo, si dilettano nel classico toto-ministri, segnalando che, nella maggior parte, i papabili sono suggeriti dal presidente uscente, il quale ha già fatto sapere che non sarebbe il caso di cambiare i vertici della banca centrale e del ministero dell’economia (le sue principali preoccupazioni) e, pare, abbia già sistemato il suo ex-pupillo Antonio Palocci, caduto nel 2005 a causa di vari scandali, rimasto in freezer e ora riscongelato, come prossimo ministro della Casa Civil, cioé il gabinetto che fu di Dilma: vale a dire il numero 2 del governo. La Rousseff eredita, come tutti sanno, un Paese in crescita del 4% in media, con una moneta persino troppo forte (il Real), consumi in crescita vertiginosa, banche solide, e un nuovo eldorado petrolifero da sfruttare sul cui destino si è giocata una parte della campagna elettorale (ah, a proposito, Lula suggerisce di non modificare neanche il vertice della Petrobras la quale, in mano da anni da Josè Gabrielli, è una sorta di governo ombra).
Qualcuno si è chiesto in questi giorni il perché della pervicacia di Lula nel volere Dilma dopo di lui e le risposte sono varie, tra cui quella che lo vedrebbe intenzionato a tornare nel 2014, che però ci appare forzata, sebbene non così inverosimile. Certamente esiste il progetto di cristallizzare il lulismo, questa creatura politico/sociale di successo, che è riuscita a rafforzare in un colpo solo l’apparato statale e la dinamica finanziaria del Paese. Un grande conoscitore della storia e dalla politica brasiliane, il produttore cinematografico Luis Carlos Barreto, l’altra mattina a Rio ci diceva che il trucco di Lula è stato semplice e geniale, cioé sostituire la parola “lotta di classe” con “inclusione sociale”. Ebbene, il lulismo potrebbe riassumersi in questo? Non lo sappiamo, poiché esiste anche l’elemento emozionale (che in Brasile ha una importanza straordinaria) e che ha il profilo pernambucano di Lula, la sua voce, il suo carisma, le sue battute, la sua maniera irresistibile di aver sedotto i banchieri e i diseredati e di averli avvicinati e resi prossimi (per finta, in un gioco di illusionismo) più di chiunque altro prima di lui, molto più di Fernando Henrique Carodoso, l’intellettuale che non aveva le qualità taumaturgiche dell’ex-operaio. Dunque Dilma saprà essere inteprete del lulismo? Saprà, come si domandano alcuni, assumere gli abiti squisitamente politici del lulismo di Lula a discapito del suo profilo “tecnico”, cioé di una donna che è giunta alla presidenza nella prima sfida elettorale della sua vita? Le auguriamo di si: anzi le auguriamo di andare oltre, saper smontare gli elementi dell’illusione e di saper costruire un Brasile solido lontano dai grafici della banca centrale ma nei concetti di cittadinanza, salute pubblica ed educazione di qualità, questioni non risolte del Lulismo 1 e speriamo invece ben in alto nell’agenda del Lulismo 2.

Monellacci/2: Luiz Inacio va avanti nonostante Hillary

Uno potrebbe spendere molte bloggistiche parole sullo scazzo uranico tra Lula e Hillary Clinton di queste due ultime settimane se non ci fosse un egregio articolo de El Pais che riassume brillantemente la questione. Vi rimandiamo a quello. Detto in un una riga: la Clinton ha duramente criticato Lula e il turco Erdogan per aver siglato con l’Iran un accordo di traferenza di uranio da arricchire: il segretario di Stato Usa afferma che ciò non c’entra nulla con la possibile minaccia nucleare dell’Iran e non deve impedire le nuove sanzioni del consiglio di sicurezza dell’Onu nei confronti del paese mediorientale e, infine, che Ahmadineyad manipola il Brasile per prendere tempo. Tradotto, sarebbe che Lula è un ciula globale, il turco pure lui. Dunque noi dell’Osservatore ci domandiamo a questo punto se esista una diplomazia di serie A e una di serie B. Cioé la diplomazia guidata per esempio dagli Usa è di serie A mentre quella di altri Paese è di serie B?
Nel frattempo, il terzo Forum dell’Alleanza tra le Civilizzazioni è stato organizzato dall’Onu a Rio de Janeiro. L’Osservatore c’era. Bandiere, variopinta popolazione di tutti i continenti, un buffet niente male (soprattutto i dolcetti) e vari capi di Stato. Oltreché una serie di interessanti dibattiti: media, ecologia, convivenza urbana, etc.
Alcuni incontri inquietanti, come il faccia a faccia improvviso con Cristina Kirchner, che indossava una specie di sipario color sangue di toro e scarpette di vernice in tinta. Comunque sia: simpatica. La presidenta si è lasciata fotografare insieme a una schiera di fans. Lo scazzo uranico però ha monopolizzato l’attenzione dei media. Il ministro degli esteri Celso Amorim, insieme al suo collega turco e a quello spagnolo (simpatizzante) ha ribadito la posizione del Brasile, “che è per il dialogo e la cultura della pace”. Alludendo a Hillary, Amorim ha detto: “Probabilmente qualcuno non è contento e rimane deluso quando si ottengono dei risultati”. Quando un reporter ha chiesto al ministro se l’accordo con l’Iran non fosse un passo falso nella direzione della tanto anelata sedia di membro permanente del Consiglio di sicurezza, Amorim ha risposto: “Non pensiamo al Consiglio di sicurezza comportandoci in maniera sottomessa”. Anche se può sembrare strano, non è così peregrina l’idea che qualcuno si è fatto di Lula con un futuro all’Onu.
(Sopra, i ministri degli esteri brasiliano Celso Amorim e il turco Ahmet Davutoglu venerdì a Rio de Janeiro, foto Alberto Riva).

Elezioni/1: per favore, dite ai brasiliani che Lula non è candidato

Da una parte c’è San Lula ormai ostaggio di un ego che sembra un airbag impazzito, dall’altra i tre candidati alla presidenza della Repubblica: elezioni, il prossimo ottobre. Tre candidati che poi sono due, l’unta dal signore Dilma Rousseff, scelta da Lula come predestinata a proseguire l’epopea del Lulismo, e José Serra, cariatide della politica nazionale impegnato in un tentativo in extremis di darsi una rinvigorita, se non fosse caduto anche lui nella beatificazione lulistica: come chiamereste voi uno che definisce il suo storico avversario “al di sopra del bene e del male” come Serra ha detto di Lula qualche giorno fa? C’è un problema: l’avversario di Serra sarebbe Dilma, e non Lula. Anche se pare che i protagonisti della corsa non l’abbiano ancora capito. E forse neanche gli elettori. L’ultimo sondaggio Data Folha, uscito sabato 22 maggio, rivela un pari secco al 37% tra Dilma e Serra. Con un dettaglio: l’approvazione della Rousseff cresce di botto (7 punti) tra gli elettori che “approvano” Lula (e sono ancora oggi oltre il 70%). Dunque, il miracolo della trasformazione dei voti e dei pesci forse a Lula riuscirà: la gente voterà Dilma pensando di votare Lula. Quello della transustanziazione è, se vogliamo, l’unico elemento interessante in una campagna che per ora sembra la meno effervescente dai tempi dell’imperatore Pedro II, quando per altro non si votava.
Per sapere qualcosa anche della terza candidata, Marina Silva, clicca qui.