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Suspense alla brasiliana. Le elezioni e le sue incognite

Pubblico qui l’articolo uscito l’11 ottobre su «Pagina99», una riflessione sui risultati del primo turno delle elezioni brasiliane, in attesa del ballottaggio che si svolgerà domenica 26 ottobre. La domanda era: la sconfitta di Marina Silva, il ridimensionamento di Dilma Rousseff e il ritorno in gioco di Aecio Neves significano un sussulto della destra brasiliana? E cosa vuol dire, “destra”, oggi in Brasile? Inoltre, è di ieri la notizia che, dopo lunga riflessione, Marina Silva ha dichiarato il suo appoggio a Neves, appoggio vincolato a una serie di impegni programmatici. Decisione che solleva, tra chi ha seguito il lungo percorso politico di Silva, non poche perplessità. Nel pezzo, un riassunto delle puntate precedenti e gli interrogativi sul tappeto. 

Diciamo che nella costruzione del buon thriller sulle elezioni brasiliane era stata ideata una variazione di trama. Dilma Rousseff correva (e corre) per la rielezione contro Aecio Neves, leader del partito che da dodici anni è il maggiore avversario del PT di Lula, cioè il PSDB, Partito della Socialdemocrazia Brasiliana. Sulla scelta della variazione gli sceneggiatori sono stati, è vero, un po’ drastici: prendere il jet privato del terzo candidato, il socialista Eduardo Campos, e farlo precipitare sulla città di Santos (patria di Pelé e di Neymar). A quel punto, l’unica conseguenza di una variazione del genere era per forza l’entrata in gara di Marina Silva (vice di Campos), carismatica ex-ministra luliana, ecologista, che nel 2010 aveva preso, da sola, venti milioni di voti. Di colpo, lo scenario elettorale cambia. Marina scalza Aecio nei sondaggi e si piazza al secondo posto dietro Dilma. Ma l’infatuazione dura poco: a differenza dei colleghi, Marina non finge di ignorare il voto dei milioni e milioni di evangelici (è lei stessa praticante) e si mostra vacillante sui temi etici: omofobia, aborto, eccetera. Inoltre ha sempre fatto e fa molta paura all’establishment petista, in quanto il suo profilo indio e la quasi monastica coerenza ne fanno una specie di Lula ante-litteram. È presa di mira da tutti. Dilma l’attacca come una lupa a cui minacciano la prole. Così, ricade al terzo posto in un crescendo verdiano al contrario.

Si arriva a domenica 5 ottobre: Dilma al primo posto (41%) e Aecio che riconquista il secondo, e meglio di quanto sperasse (33%). Marina non ha vinto, ma (con il 21%) ha frantumato la solidità del centro-sinistra.

elezioni pagina99Aecio, oggi come oggi, è la destra, che in Brasile si traduce in un pensiero rimasto alle ormai nebbiose ricette di Fernando Henrique Cardoso, predecessore di Lula, che mentre implementava qualche timido programma sociale (d’altra parte era ed è un sociologo) spingeva massicciamente sulle privatizzazioni, e in aeree strategiche come petrolio e risorse minerali, alcune riuscite del tutto altre a metà (vedi la Petrobras, rimasta in mano al governo). Lula, giunto al potere il primo gennaio 2003 inverte la rotta: acceleratore pigiato sui programmi sociali (Borsa FamigliaLuce per tutti,La mia casa la mia vita, etc) e rafforzamento dello Stato nella politica economica e finanziaria. Non c’era la crisi mondiale, all’inizio. Dilma ha ereditato queste direttrici e la crisi. E infatti la votano i poveri. Però il modello si è piegato sotto il peso di una coscienza sociale più robusta. Lula e Dilma hanno latitato su salute, sicurezza, giustizia. E oggi c’è fame di cambiamento.

Su questo appetito adesso affila le posate Aecio Neves, 54 anni, ex-governatore del grande Minas Gerais, nipote di quel Tancredo Neves che fu eletto presidente nel 1984 ma morì improvvisamente (altro colpo di scena) prima di prendere possesso dello scranno. Tancredo Neves che, nel lontano 1953 fu ministro della giustizia di Getúlio Vargas, il dittatore populista che guardava con ammirazione a Mussolini, tentò di allearsi con Hitler ma fu rimesso in riga da Roosevelt.

Aecio Neves ha masticato politica fin da ragazzo all’ombra del nonno. Si affilia al PSDB, partito che nasce nel 1988 (anno della nuova Costituzione post-regime militare) in uno scenario all’epoca dominato dal PMDB (oggi diffusissimo partito moderato) e il PT (dei lavoratori) emerso dalle battaglie sindacali di San Paolo.

Il PSDB, il partito dei Tucanos (è il loro simbolo) è quello che porta F.H.Cardoso alla presidenza ed è il partito che, ormai da tempo immemore, guida lo Stato di San Paolo, vale a dire la maggiore e più inquinata economia del Sud America, regione che da sola ha le dimensioni, il Pil e il traffico d’auto di uno Stato di medie dimensioni.

Aecio si prepara alla presidenza da anni. La crisi del Pt e la frantumazione politica sono la sua grande occasione. Gli effetti già si vedono. Quello eletto domenica è il parlamento più conservatore degli ultimi dodici anni. Cosa significa? Significa la presenza di numerosi deputati evangelici nel vero senso della parola, cioè pastori di chiese. E una settantina di deputati “ruralisti”, cioè rappresentati degli interessi dei proprietari terrieri (e in Brasile per la terra non si scherza, si muore). Destra in Brasile significa questo: contrasto alle leggi per legalizzare aborto e liberalizzazione delle droghe leggere (il problema del narcotraffico in Brasile è una piaga sociale), e acerrime resistenze alle riforme per la salvaguardia della terra, della foresta, delle riserve indigene. Questi settori sono trasversali ai partiti e hanno più o meno forza a seconda delle alleanze. L’incognita riguarda quale spazio e quali nuove alleanze potrebbero formarsi con un governo formato da Aecio Neves. E sulla base delle alleanze, pragmatiche (non programmatiche), quali idee rendere vincenti.

©Alberto Riva

Gestione ambientale in Brasile: il governo fa (volutamente) marcia indietro

Quando era solo a un passo dall’approvazione della riforma del Codice forestale, data per certa a inizio settimana, ieri la maggioranza di governo in Brasile ha fatto un clamoroso passo indietro e ha rimandato la votazione a data da destinarsi. Vittoria secca dello schieramento politico che si opponeva alla polemica riforma (leggi post), capitanato dai Verdi di Marina Silva (nella foto). Lo scontro sulle nuove regole di gestione ambientale in Brasile aveva raggiunto un livello molto alto e rischiava di essere approvato con pesanti modifiche o addirittura non passare. Proprio la paura di fallire la votazione ha spinto la maggioranza di Dilma Rouseff (che in questo voto contava anche sull’appoggio di parte dell’opposizione) a fare dietrofront per non incorrere nella prima vera sconfitta della sua presidenza cominciata lo scorso gennaio. Su un tema, quello della gestione ambientale e soprattutto della produzione agricola in aree protette (leggi Amazzonia e dintorni) , che è di primissimo piano. Delusi, a questo punto, i settori ruralisti, potenti e presenti in gran forze al parlamento e che spingevano per la “flessibilizzazione” del Codice, inclusa la controversa amnistia per chi ha sfruttato eree protette di foresta, cerrado, mata altlantica fino al 2008. Secondo un articolo del quotidiano Valor, però è stata la stessa presidente Dilma a imporre, in una lungimirante mossa politica, il passo indietro ai settori più duri dell’agrobusiness, favorendo così la sua base elettorale e il suo partito, il PT. La questione e il peso delle forze in gioco sono spiegati bene anche da questo articolo di Carta Capital. Nonostante siano volate anche accuse e mezzi insulti tra personaggi per altro non distanti idelogicamente (almeno un tempo…), come il relatore del progetto Aldo Rebello del Partido Comunista do Brasil e Alfredo Sirkis dei Verdi, quello di ieri è sembrato un buon giorno di dialettica parlamentare, dove i voti e le posizioni non giungono al congresso così blindati e precostituiti da non lasciare spazio a sorprese. Farà scuola? Speriamo.

Lula torna alle origini: guiderà la riforma politica e la strategia per le amministrative del 2012

Le elezioni amministrative del 2012 sono uno dei principali motivi del ritorno sulla scena politica nazionale di Luiz Inacio Lula da Silva. L’ex-presidente della Repubblica, infatti, impegnato attualmente come conferenziere negli Stati Uniti e in Europa, pur non aspirando ad alcun incarico effettivo, è stato chiamato dalla dirigenza del Partito dei Lavoratori (Pt) a coordinare le alleanze in vista del prossimo appuntamento elettorale, dal momento che il partito sia della presidente Dilma Rousseff che dell’ex-Lula è seriamente intenzionato a vincere, innanzitutto nella città di San Paolo, storicamente baluardo dell’opposizione. Già entro il prossimo ottobre, dovrebbe essere reso noto il nome del candidato petista, che correrà o da solo o come capo di una stretta alleanza. Inoltre, sul tavolo, c’è da tempo la cosiddetta “riforma politica” che dovrebbe essere affrontata dal congresso, nella quale è inclusa anche la riforma delle regole elettorali e altre importanti declinazioni della macchina politica nazionale, tra cui le regole per il finanziamento pubblico delle campagne. Secondo la Folha de S.Paulo, l’intervento di Lula è fondamentale per Dilma, libera così di proseguire il suo impegno al governo senza doversi occupare della “bassa cucina”, articolazione delle alleanze e programmi, dove il carisma e le capacità di Lula sono solide come il marmo.

Nel frattempo c’è chi governa. Dilma in Cina

Mentre in Italia la classe politica è fondamentalmente impegnata a decidere da chi andare ospite in tv, nel resto del mondo governano. In Brasile, per esempio, la presidente Dilma Rousseff è atterrata oggi in Cina per la sua prima visita ufficiale in Asia. E non ha iniziato dai compiti facili, bensì visitando il suo maggior partner commerciale e collega di Bric’s, gigante similiare con il quale le relazioni sono forti ma non mancano i problemi, con una bilancia commerciale che pende pesantemente in favore dei cinesi. Il Brasile esporta infatti soprattutto commodities, materie prime come ferro e soia, di cui è il maggior produttore mondiale. Per la verità quello dei prodotti finiti è un po’ il problema brasiliano: ne produce pochi, e quei pochi, sono cari. Mentre altri Paesi si beneficiano con le materie prime brasiliane, tantissime, e poi vendono i prodotti finiti guadagnandoci bene. Ciò detto, ci sono aziende brasiliane, come la Embraer, terzo costruttore al mondo di aereoplani, che hanno nel mercato cinese un cliente fondamentale, tanto che uno degli obiettivi del viaggio di Dilma è formalizzare la produzione di una parte della flotta Embraer sul territorio cinese, in special modo dei jet executive modello Legacy. Oltre alla vendita di nuovi modelli 190, già in servizio in Cina, come in Europa, sotto l’insegna di molte compagnie. Altro settore strategico è quello della carne suina, di cui la Cina è il maggior consumatore al mondo: il Brasile ne produce moltissima e cerca un rafforzamento della domanda. Dilma cerca anche investitori per le infrastrutture, che in Brasile non sono all’altezza dell’attuale momento di crescita. C’è un interesse da parte dei cinesi per entrare come dominatori nel progetto del treno ad alta velocità che dovrà collegare Rio a San Paolo. Se ne parla da tempo, doveva essere pronto per il Mondiale di calcio del 2014, ma appare già in grande ritardo. Al seguito di Dilma viaggiano circa 200 imprenditori dei più svariati settori.

Il business delle miniere: Brasile all’attacco

Cambio al vertice della multinazionale brasiliana Vale do Rio Doce, la seconda impresa estrattiva del mondo, e la prima nel settore del ferro, un colosso da 15 miliardi di euro di profitti nel 2010. Creata dal governo brasiliano nel 1942, nel 1997 la Vale è stata privatizzata. Sotto il governo Lula (2003-2010), la perdita di controllo statale su una azienda così strategica è stata poco tollerata. Già dal 2008 si sono avuti screzi tra l’ex-presidente Lula e il presidente della Vale, il super manager Roger Agnelli. Ques’ultimo, dopo dieci anni al comando, si prepara a  lasciare il posto a un altrettanto giovane executive, Murilo Ferreira, 58 anni, un passato già nell’azienda e poi incarichi in imprese di consulenza strategica e, si dice, vicino alla presidente della Repubblica Dilma Rouseff, che prima di assumere la guida del paese è stata ministra del settore, al dicastero di Minas e Energia. Il nome di Ferreira è stato indicato dagli azionisti e deve essere approvato dal consiglio di amministrazione.
La Vale è una mega impresa con un indotto di 120 mila posti di lavoro, 94 mila in Brasile, il resto nei cinque continenti. Nel 2010 ha fatto investimenti per 7 miliardi di dollari in Brasile e una cifra analoga all’estero. Estrae potassio in Argentina, Nichel in Canada, ferro in Guinea, Rame in Zambia, fosfato in Perù, eccetera eccetera. E’ presente in 30 paesi. (fonte O Globo e Folha).

San Paolo, polizia accusata di 150 omicidi

La polizia civile di San Paolo ha divulgato ieri un dossier nel quale rivela che, tra il 2006 e il 2010, la Polizia Militare della maggiore città brasiliana sarebbe responsabile almeno di 150 omicidi. Il 61% delle vittime era senza precedenti. Una cinquantina di poliziotti, secondo il dossier, fanno parte o hanno fatto parte di gruppi di sterminio. Alcuni sono già in carcere, altri ancora in servizio, altri sotto investigazione. Per capire cosa significano questi dati in concreto, lasciamo San Paolo e andiamo a Manaus, la capitale dello Stato di Amazonas, nel profondo nord brasiliano. Ieri un giudice ha chiesto l’arresto di sette poliziotti militari accusati di sparare a un ragazzino di quattordici anni disarmato che non è morto per un soffio, ma ha subito la perforazione di un polmone: il fatto risale allo scorso ottobre ma l’inchiesta è partita solo lo scorso febbraio. Si ha idea dei tentativi di depistaggio e interferenza alle indagini che devono essere stati tentati fin qui. Il caso ricorda da vicino quello di Marcia Jacinto che tempo fa avevo raccontato sul Riformista.
Non esistono indicatori economici positivi che possano cancellare una verità solida come pietra. Se il Brasile vuole davvero entrare nel novero delle grandi democrazie deve risolvere al più presto il problema della polizia. Deve togliere dalla strada, privarli delle uniformi, sottrarre il potere arbitrario a un esercito di delinquenti corporativi. Ovvio: stiamo parlando delle mele bacate, non di un tutto. Ma le mele bacate, purtroppo, sono una grossa fetta del raccolto. Deve riformare tutto il sistema. L’ex-presidente Lula non lo ha fatto, auguriamoci che lo faccia Dilma Rousseff.
(In alto, esercito in azione a Rio nella favela Rocinha, foto di Alberto Riva)

Lula morettiano: che dici, vengo?

Che l’ex-presidente Luiz Inacio Lula da Silva fosse un genio della comunicazione si sapeva, ma che riuscisse a polarizzare l’attenzione anche da assente, non era ancora successo. Ci è riuscito sabato scorso durante la visita di Barack Obama a Brasilia. La presidente Dilma Rousseff ha invitato a pranzo il presidente Usa chiamando a raccolta tutti gli ex-presidenti del Brasile disponibili sul mercato: dal tenebroso Fernando Collor al decano José Sarney, dal mite Itamar Franco al pensieroso Fernando Henrique Cardoso. E Lula? Lula ha declinato l’invito. Ma come, proprio lui? L’uomo che ha traghettato il Brasile dal passato al futuro senza passare da via? Il predecesseore di Dilma, che proprio Obama aveva consacrato definendolo That’s the guy! E si, Lula non c’era. E la sua assenza ha occupato sui giornali quasi più spazio del pranzo di Dilma, provocando un florilegio di congetture.
F. H. Cardoso, che lasciò nel 2002 il testimone a Lula, ha sobillato: sarà stato un po’ geloso. Itamar Franco, noto per il suo equilibrio, non si è voluto sbilanciare: avrà avuto un altro impegno, ha detto. La stampa, dal canto suo, ha visto nell’assenza di Lula l’intenzione di non rubare la scena a Dilma nella sua prima grande passerella internazionale. Parole sagge, ribadite da José Sarney, eterno protagonista della politica brasiliana. Lula non ha voluto oscurare Dilma, ha dichiarato l’ex-presidente. In ogni caso, sembra proprio che Lula abbia fatto suo il celebre dettato di Nanni Moretti: mi si nota di più, se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo?
(In alto, Dilma e Obama a Brasilia, foto di Lula Marques/Folha)

Luiz Inacio Dilma da Silva: cosa ci si aspetta dal Lulismo 2

Eletta con il 56% dei voti, un risultato considerato eccellente dalla cupola di governo, Dilma Rousseff, 62 anni, è da oggi la nuova presidente eletta del Brasile, e assumirà l’incarico il prossimo primo di gennaio. Governerà per quattro anni. Senza nulla togliere alle sue qualità personali, la sua elezione è il più recente successo del presidente Luiz Inacio Lula da Silva, il quale, in completa autonomia rispetto al partito dei lavoratori (Pt) – c’è chi dice in maniera quasi autoritaria – l’ha scelta come sua “erede” e l’ha portata di peso alla vittoria, violando il protocollo presidenziale e buttandosi anima e corpo nella campagna elettorale. Josè Serra, lo sconfitto (per la seconda o terza volta) non ha dovuto battagliare contro un avversario, bensì contro due, una nuova entità duble-face che ci verrebbe di battezzare Dilma da Silva. Oggi per ersempio i giornali brasiliani, come la Folha de S.Paulo, si dilettano nel classico toto-ministri, segnalando che, nella maggior parte, i papabili sono suggeriti dal presidente uscente, il quale ha già fatto sapere che non sarebbe il caso di cambiare i vertici della banca centrale e del ministero dell’economia (le sue principali preoccupazioni) e, pare, abbia già sistemato il suo ex-pupillo Antonio Palocci, caduto nel 2005 a causa di vari scandali, rimasto in freezer e ora riscongelato, come prossimo ministro della Casa Civil, cioé il gabinetto che fu di Dilma: vale a dire il numero 2 del governo. La Rousseff eredita, come tutti sanno, un Paese in crescita del 4% in media, con una moneta persino troppo forte (il Real), consumi in crescita vertiginosa, banche solide, e un nuovo eldorado petrolifero da sfruttare sul cui destino si è giocata una parte della campagna elettorale (ah, a proposito, Lula suggerisce di non modificare neanche il vertice della Petrobras la quale, in mano da anni da Josè Gabrielli, è una sorta di governo ombra).
Qualcuno si è chiesto in questi giorni il perché della pervicacia di Lula nel volere Dilma dopo di lui e le risposte sono varie, tra cui quella che lo vedrebbe intenzionato a tornare nel 2014, che però ci appare forzata, sebbene non così inverosimile. Certamente esiste il progetto di cristallizzare il lulismo, questa creatura politico/sociale di successo, che è riuscita a rafforzare in un colpo solo l’apparato statale e la dinamica finanziaria del Paese. Un grande conoscitore della storia e dalla politica brasiliane, il produttore cinematografico Luis Carlos Barreto, l’altra mattina a Rio ci diceva che il trucco di Lula è stato semplice e geniale, cioé sostituire la parola “lotta di classe” con “inclusione sociale”. Ebbene, il lulismo potrebbe riassumersi in questo? Non lo sappiamo, poiché esiste anche l’elemento emozionale (che in Brasile ha una importanza straordinaria) e che ha il profilo pernambucano di Lula, la sua voce, il suo carisma, le sue battute, la sua maniera irresistibile di aver sedotto i banchieri e i diseredati e di averli avvicinati e resi prossimi (per finta, in un gioco di illusionismo) più di chiunque altro prima di lui, molto più di Fernando Henrique Carodoso, l’intellettuale che non aveva le qualità taumaturgiche dell’ex-operaio. Dunque Dilma saprà essere inteprete del lulismo? Saprà, come si domandano alcuni, assumere gli abiti squisitamente politici del lulismo di Lula a discapito del suo profilo “tecnico”, cioé di una donna che è giunta alla presidenza nella prima sfida elettorale della sua vita? Le auguriamo di si: anzi le auguriamo di andare oltre, saper smontare gli elementi dell’illusione e di saper costruire un Brasile solido lontano dai grafici della banca centrale ma nei concetti di cittadinanza, salute pubblica ed educazione di qualità, questioni non risolte del Lulismo 1 e speriamo invece ben in alto nell’agenda del Lulismo 2.

Elezioni/2: Il fattore Marina

Lunedì amaro per Lula e la sua candidata Dilma Rousseff: si sono fermati al 47%. José Serra, terza o quarta volta candidato, sorride: 33%. Marina Silva, con il 19,33%, trionfa: è fuori dalla competizione, ma è lei la vera vincitrice delle elezioni e, ovvio, da qui al 31 ottobre, data del ballottaggio, sarà al centro della scena. La domanda che tutti si fanno è: a chi andranno i suoi 20 milioni di voti? Probabilmente lei si asterrà da una indicazione, per coerenza (la marca di fabbrica di questa grande donna brasiliana), ha anzi detto che indirrà una discussione interna al suo partito, i Verdi, da cui uscirà nel caso l’eventuale indicazione di voto. C’è una tendenza interna ai Verdi per appoggiare Serra, tuttavia una parte dell’elettorato di Marina è lo stesso che un tempo, prima della nascita del Leviatano, votava Lula. Anche se qui ci sembra emerga una nuova creatura: chi è questo insorgente elettorato di Marina? Chi sono questi 20 milioni di brasiliani che, a sorpresa, contraddicendo tutti i sondaggi, hanno voltato le spalle a Dilma e votato il nuovo sogno (una versione aggiornata, nuovamente vibrante di quello che nel 2002 portò Lula a Brasilia) che la Silva rappresenta oggi? Difficile prevedere da che parte penderà la bilancia, ma è naturale che sarà più facile da adesso per Serra richiamarsi ai marinisti, soprattutto nel suo grande bacino elettorale, quello di San Paolo, uno dei maggiori del Paese. Dilma avrà più difficoltà a infilarsi nell’ombra protettiva di Marina, perché l’opposizione tra le due donne è stata fin qui più accesa. Marina se ne andò dal governo Lula proprio in polemica con le scelte pragmatiche di Dilma, alla quale, in veste di ministra della Casa Civil (il portafoglio del governo), toccava mettere la faccia nelle scelte poco sostenibili dal punto di vista ambientale relative alla foresta amazzonica e non solo. Alcuni oggi affermano che alcuni temi molto scottanti in Brasile e non risolti, come per esempio l’aborto, abbiamo giocato un ruolo fondamentale: Marina, evangelica, è nettamente contraria a una nuova legge che depenalizzi l’interruzione di gravidanza, mentre Dilma, più laica, ha cambiato diverse volte idea sulla questione. Può essere, ma non è certo una ragione sufficiente a spiegare la nuova situazione di incertezza che si profila da oggi al 31 ottobre. Lula ha già fatto sapere che dedicherà un mese di appassionata campagna per la sua candidata Dilma e probabilmente alla fine ce la faranno. Serra si giocherà il tutto per tutto vendendo temi ambientalisti e tingendosi di verde a più non posso. Lo stesso tenterà Dilma. Da questo punto di vista, da adesso in avanti, sarà una campagna elettorale più divertente, accesa, nervosa, rispetto a quanto successo fin qui, con quell’aria da giochi già fatti, una campagna elettorale tra le più noiose mai viste. Un risultato c’è già, comunque: Lula non è il lulismo. I venti milioni che hanno votato Marina mandano questo messaggio alla cupola di governo. Il tiro va corretto, la fame di quel sogno brasiliano resiste insoddisfatta nel grande Paese che si è concentrato soprattutto a entrare tra i Grandi, ma che è fatto ancora di gente che comincia a lavorare a 9 anni, che non mette le scarpe per andare a prendere l’acqua al pozzo, che non può accedere a buoni studi e buona salute perché è nero o indio, e in quanto nero o indio è povero e discriminato. Nello stesso tempo, chi vota in Marina è quella classe media intellettuale delusa dal lulismo, rappresentata bene dal vice scelto da Marina, Guilherme Leal, magnate dei cosmetici sostenibili, padrone di Natura, uno dei brand brasiliani più diffusi al mondo. Marina, in qualche modo, interpreta questa segreta formula brasiliana, popolare e raffinato che si incontrano: il Brasile è anche questo, non è solo il “popolino” mirato dal lulismo e accontentato con il benefit di 90 Reais a fine mese e crediti facili per comprare la televisione al plasma in 70 rate. Sembra cioé che stia emergendo qualcosa di nuovo. Dilma sarà senza dubbio presidente il primo novembre, ma deve governare guardando a questo nuovo, perché altrimenti nel 2014 potrebbe essere la volta di Marina Silva.

Elezioni/1: per favore, dite ai brasiliani che Lula non è candidato

Da una parte c’è San Lula ormai ostaggio di un ego che sembra un airbag impazzito, dall’altra i tre candidati alla presidenza della Repubblica: elezioni, il prossimo ottobre. Tre candidati che poi sono due, l’unta dal signore Dilma Rousseff, scelta da Lula come predestinata a proseguire l’epopea del Lulismo, e José Serra, cariatide della politica nazionale impegnato in un tentativo in extremis di darsi una rinvigorita, se non fosse caduto anche lui nella beatificazione lulistica: come chiamereste voi uno che definisce il suo storico avversario “al di sopra del bene e del male” come Serra ha detto di Lula qualche giorno fa? C’è un problema: l’avversario di Serra sarebbe Dilma, e non Lula. Anche se pare che i protagonisti della corsa non l’abbiano ancora capito. E forse neanche gli elettori. L’ultimo sondaggio Data Folha, uscito sabato 22 maggio, rivela un pari secco al 37% tra Dilma e Serra. Con un dettaglio: l’approvazione della Rousseff cresce di botto (7 punti) tra gli elettori che “approvano” Lula (e sono ancora oggi oltre il 70%). Dunque, il miracolo della trasformazione dei voti e dei pesci forse a Lula riuscirà: la gente voterà Dilma pensando di votare Lula. Quello della transustanziazione è, se vogliamo, l’unico elemento interessante in una campagna che per ora sembra la meno effervescente dai tempi dell’imperatore Pedro II, quando per altro non si votava.
Per sapere qualcosa anche della terza candidata, Marina Silva, clicca qui.