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Nella biblioteca ritrovata, pescando (non) a caso: la beccaccia di Chechov

A John Berger arrivai tramite Ryszard Kapuscinski: in un prezioso libro intitolato Il cinico non e’ adatto a questo mestiere (riferito al giornalismo) i due scrittori si interrogano a vicenda. Pagine bellissime.
Di Kapuscinski, uno dei libri indispensabili e’ intitolato Lapidarium. Si tratta di un elenco di osservazioni sui piu’ diversi argomenti e di citazioni da letture fatte dal giornalista polacco nel corso degli anni. Ne ricordavo una da Anton Checov, che ritrovo, e trascrivo:

«L’8 aprile 1892 Anton Chechov scrive dal villaggio di Melichovo al suo amico di Pietroburgo, Aleksej Suvorin:
“In questi giorni e’ ospite da noi il pittore Levitan. Ieri sera siamo andati a caccia insieme. Ha sparato a una beccaccia, che e’ caduta in una pozza, con l’ala spezzata. L’ho sollevata: becco lungo, grandi occhi neri e un bellissimo piumaggio. Mi guarda stupita. Che farne? Levitan fa una smorfia, chiude gli occhi e supplica con voce tremante: ‘Ti prego, caro, spaccale la testa con il calcio…’ . Rispondo: ‘ Non posso ‘. Levitan continua ad agitare nervosamente le spalle, scuote la testa, scongiura. Intanto la beccaccia ci guarda con stupore. Sono costretto ad accontentare Levitan e a uccidere l’uccello. Adesso il mondo ha una deliziosa creatura in meno, e due imbecilli che rientrano a casa per mettersi a cena”.»

Anton Chechov, commediografo e romanziere russo (1860-1904) in
Ryszard Kapuscinski, Lapidarium. In viaggio tra i frammenti della storia, Feltrinelli

Coppie di fatto gay a un passo dal sì. E un ragionamento

E’ in corso presso la corte suprema brasiliana, l’STF (Supremo Tribunal Federal), l’analisi del riconoscimento alle coppie di fatto omosessuali degli stessi diritti che la legge riconosce già alle coppie di fatto eterosessuali. Il relatore del processo, il giudice Carlos Ayres Britto, ha concluso la prima sessione ieri sera dando parere favorevole. Il processo continuerà oggi con il voto degli altri compenenti dell’alta corte. Il faldone arriva sui tavoli della Corte Suprema a causa di due ricorsi: il primo, inoltrato dal governatore dello Stato di Rio de Janeiro, Sergio Cabral, il quale parte da una questione, diciamo così, burocratica: chiede che nello statuto dei funzionari statali non si  faccia alcuna discriminazione nel trattamento tra coppie di fatto eterosessuali e gay. Cabral afferma che la discriminazione va contro fondamentali principi costituzionali, quelli di libertà e uguaglianza e il principio della dignità dell’essere umano. Il secondo ricorso, del 2009, arriva direttamente dal procuratore generale dello Stato, e chiede il riconoscimento delle coppie di fatto gay quale entità familiare, e che i diritti delle coppie di fatto eterosessuali siano estesi a quelle dello stesso sesso. Dunque, tutte quelle questioni legate all’estensione dell’assistenza sanitaria, previdenza sociale, diritto ad assistere il partner in caso di malattia, ricovero, questioni ereditarie, etc.
Interessante è notare come la questione in  dibattimento non generi alcuna polemica nella società civile, tenendo anche conto che parlando di Brasile stiamo parlando del Paese con il maggior numero di cattolici al mondo e una forma molto intensa di religiosità, comune a tutta l’America Latina. Il Brasile, isola lusofona con caratteristiche per certi versi peculiari rispetto al resto del continente, anche nel rapporto con il divino manifesta un suo caratterere specifico. “Più in funzione della festa che del rito” mi ha detto un giorno il poeta Ferreira Gullar, concetto non facilssimo da intepretare se non quando ci si trova di fronte a un tipo di relazione, come la chiamava lui, “permissiva” con la pratica dell’esistenza. Lui lo definiva “il processo della vita, senza molto mistero e quasi senza preconcetto”.
Mi sono tornate in mente queste parole leggendo alcune bellissime pagine di Ryszard Kapuscinski contenute in Nel turbine della storia e che spiegano secondo me molto bene cosa significa il sentimento religioso in Sud America e perché, su questioni civili come quella succitata, quei paesi siano ormai molto più avanti del nostro in quanto “laboratorio sociale” dove le minoranze sono giunte pacificamente, attraverso un lento processo di evoluzione e penetrazione, ad avere più voce in capitolo nell’organismo dello Stato. Scrive Kapuscinski: “In questo continente si riscontra una collaborazione tra culture, razze e religioni. Una sorta di sincretismo  in cui il cattolicesimo si mescola alle antiche credenze. Il fatto più interessante, e del tutto eccezionale, è l’assenza di un’aggressività nazionalista. Si può attraversare in lungo e in largo l’intera America Latina senza imbattersi in una sola manifestazione di odio o di rifiuto. Potrebbe trattarsi di un buon modello per il xxi secolo”. Queste parole del grande giornalista polacco, un uomo che ha inteso la sua sua professione innanzitutto come curiosità verso l’altro, e come infinito viaggio, scoperta, mi sono a loro volta tornate in mente qualche giorno fa leggendo invece l’intervista a uno dei nostri decani del giornalsimo, il quale parlando della situazione italiana usava, in maniera dispregiativa, la parola “sudamericana”, anzi credo che usasse la parola “paraguaiana”, come sinonimo di parlamento o governo in mano a delinquenti, forse anti-democratico, e via dicendo. Ci ho visto qualcosa di molto illuminante, ancorché tragico: perché è proprio questo genere di non-aggiornamento, di schemi culturali ammuffiti e con data di scadenza pericolsamente superata, che collaborano a mantenere una società, come quella italiana, bloccata. E sono dovuti al fatto che questi decani lo sono poiché sono decadi che non usano il loro passaporto per andare a vedere che l’aeroporto di Seul è il più moderno del mondo, per esempio, o che a San Paolo si divorzia in un’ora, o a Montevideo le lesbiche si sposano, o ancora che un ex potentissimo ministro di Lula, per aver violato il decoro parlamentare, è stato cassato dalla vita politica per dieci anni. Viaggiare per credere.